Quale Europa? Parte 1: la Brexit

Il 24 giugno scorso ci siamo svegliati scoprendo che gli abitanti del Regno Unito avevano deciso di uscire dall’Unione Europea.

Poi si è capito che era stato determinante il voto delle zone rurali dell’Inghilterra, cioè del sud dell’Isola. Dove forse un certo conservatorismo ha illuso sulla possibilità di un ritorno ad una mitica, cara, vecchia Inghilterra del secolo scorso. Un’immagine suggestiva da agitare nel 2016, epoca di globalizzazione e di migrazioni di popoli. Il teatro è quello di una  campagna inglese rassicurante, almeno quanto un film di fantasia come La carica dei 101, che vuole rimanere uguale a se stessa.

Il fascino dei tempi antichi è presente in tutti noi. Desideriamo il ritorno di una mitica età dell’oro in cui noi o forse i nostri avi fummo felici. Le correnti politiche nazionalistiche spesso fanno leva su questo sentire magico. Peccato che il mondo sia cambiato! Certamente questo mondo non è il migliore possibile ed è inoltre in continua evoluzione; ma non potrà tornare indietro. E così non tornerà quello che fu lo splendido isolamento di fine ‘800, quando la Gran Bretagna si concentrò a consolidare il suo impero coloniale, evitando ogni alleanza in Europa.

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La mappa del voto per la Brexit – Fonte www.repubblica.it

Al contrario l’isola rischia ora di diventare una prigione angusta, se dal Regno Unito decideranno di rendersi autonome la Scozia e l’Irlanda del Nord, decise a restare nell’Unione Europea. Ben altro che il lieto fine del film di cui sopra.

Per il sì a rimanere nell’UE, si sono schierati chiaramente la maggior parte dei giovani. Coloro che più di altri beneficiano dall’Unione della possibilità di viaggiare, di incontrare persone e di vedere riconosciuti i titoli di studio per lavorare all’estero. Ma che purtroppo sono anche disincantati, visto che due su tre di loro non hanno proprio votato.

Per il sì, la Londra cosmopolita e aperta che offre opportunità di lavoro ed esperienza a persone di tutte le età e provenienze. Sia pure per tornaconto personale, per il sì anche la City di Londra: quella dei finanzieri e dei dipendenti delle multinazionali che nel mercato unico vedono ampie praterie per la speculazione e per la dominazione economica sui consumatori di tutta Europa.

Sulle ragioni del voto britannico in questi giorni ci sono state due interpretazioni differenti. Eccole qua.

  • Voto di protesta. Un supremo atto di democrazia contro le lobby europee che hanno preso in mano le redini politiche ed economiche dell’Unione, capaci come sono di manovrare in modo occulto i governi nazionali e la commissione europea.
  • Voto egoistico. Una conseguenza della paura verso gli immigrati e verso l’incertezza della crisi; paure fomentate dai partiti nazionalistici per loro tornaconto elettorale.

Non sono un conoscitore dell’Inghilterra. Non saprei scegliere da me la tesi più realistica. Posso dire che mi ha colpito l’opinione del teologo domenicano Timothy Radcliffe che ne fa una sintesi.

Timothy Radcliffe racconta come si è arrivati alla Brexit

Il Teologo domenicano Timothy Radcliffe

Radcliffe ha votato per il REMAIN (rimanere nell’UE). E secondo lui ha vinto invece il LEAVE (lasciarla) perché “è mancata una discussione matura, intelligente nella quale si cercasse davvero il bene comune non soltanto per questo paese ma per l’intera Europa. Ciascuno ha pensato soltanto al proprio interesse personale, egoistico. Le classi dirigenti hanno fatto così e anche i cittadini comuni”.

Nell’intervista rilasciata a Famiglia Cristiana,  [1] il domenicano racconta di una campagna referendaria aggressiva. Con i partiti spaccati sul tema e teatro di guerre interne; i politici più abili hanno assunto posizioni ambigue. Il secondo quotidiano inglese, The Sun,  ha avuto posizioni demagogiche contro l’Unione Europea.

Insomma, le classi dirigenti sono state opportuniste in modo sfacciato.

David Cameron

Il premier conservatore inglese David Cameron, in difficoltà durante la campagna per il ‘remain’ , quando per la Brexit si è schierato Syed Kamall, leader dei conservatori inglesi al Parlamento Europeo e figlio di un immigrato dalla Guyana. Fonte: www.express.co.uk

I politici europeisti si sono limitati a dire che restare in Europa era meno peggio che isolarsi. Neanche loro sono apparsi sempre interessati a fornire una visione della società che incontrasse i bisogni dei cittadini. I quali “impauriti e privati di sogni” preferiscono oggi seguire l’esempio, e cercare come possono di limitare i danni o di ottenere vari tornaconti personali.

Addirittura qualcuno ha considerato una minaccia il sostegno al ‘remain’ della meravigliosa parlamentare Jo Cox e l’ha barbaramente uccisa. Tale è il senso di insicurezza.

Dunque secondo Radcliffe si è trattato di voto egoistico che, di fronte all’inadeguatezza dei politici, non ha scelto la protesta ma l’emulazione. Il suo è un lucido e triste ritratto di un processo di involuzione in atto nella società contemporanea, non solo oltremanica.

Esiste una profonda aspirazione delle persone a sentirsi “realizzati” e in pace con i propri simili.

Cioè di realizzare la propria personalità e le proprie attitudini nel “bene comune”. Chi governa uno Stato ha il compito di creare le condizioni perché ciò accada. E quando queste condizioni mancano in modo cronico, le persone possono dimenticare quale sia il vero orizzonte della propria natura e si ripiegano su se stesse , in un atteggiamento individualistico.

La carenza di prospettive rischia oggi di promanare dalla classe politica a quella dirigente in genere. Ce ne accorgiamo quando si considera un valore il conflitto interno e non il risultato. Quando le riforme del mondo del lavoro fanno attecchire un atteggiamento di ricerca smodata dei fini privati. Talora sono attraversati da utilitarismo perfino l’associazionismo e gli altri ambiti in cui il cittadino trovi un riparo dall’incertezza.

Serve a tutti invece che le legittime aspirazioni personali diventino motivo di crescita non solo individuale ma di tutta una società o una comunità.

Occorre interiorizzare nuovamente i princìpi fondatori dell’Unione Europea. La vicenda Brexit conferma la necessità di superare politiche europee spudoratamente egoistiche. Come quelle viste per esempio un anno fa nella gestione della crisi greca e dell’immigrazione. Nel prossimo post faremo un salto indietro, per ricordare cosa accadde un anno fa, proprio in questa stagione.

Guido Caridei

[1] L’intervista a Famiglia Cristiana del teologo Timothy Radcliffe

2 Replies to “Quale Europa? Parte 1: la Brexit”

  1. Purtroppo la frittata è fatta. Questo è l’unico epilogo possibile ad una unione dove non si parla la stessa lingua, non si ha un unico governo, anzi tutti i governi tirano acqua verso il proprio mulino. Credo ci attenda un periodo tragico economicamente e socialmente, d’altronde ci siamo svegliati da un sogno per ritornare nel l’incubo.

    1. Salve Elio,
      leggo il tuo commento e mi rendo conto che descrivi uno scenario possibile. E ciò mi rattrista molto.
      Le politiche europee sono condizionate da interessi diversi da quelli dei popoli.
      Non sembra tanto un’Unione di popoli quanto di banchieri ed altre lobby, almeno al momento.
      Ma se gettiamo via il “contenitore europeo” non abbiamo garanzia di migliori aspettative.
      Infatti i governi nazionali agiscono nel medesimo modo di quello europeo.
      Serve riformare la politica più che discutere dell’appartenenza alla (con)federazione europea.
      In più dividersi potrebbe favorire vecchi e nuovi nazionalismi.
      Io ci credo ancora. All’Europa. A tempi migliori!

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