La comunità somala di Napoli e il dolce volto dell’integrazione

Napoli è una città dai tanti volti.

Qui i rapporti umani sono più immediati e anche con lo straniero ci sono meno barriere. Così nei dintorni di Piazza Mercato si può fare la conoscenza della comunità somala. La sua presidentessa Abdulle Asli Ahmed è un esempio di integrazione, vive a Napoli dagli anni ’80 e dell’integrazione fa uno scopo di vita. L’ho incrociata casualmente nei vicoli alle spalle della piazza, a pochi passi dal luogo dove nacque Masaniello, come ricorda una lapide. A pochi passi dall’istituto superiore Isabella D’Este, un pilastro della formazione nel settore moda in città, ospitato nell’edificio dove già nel ’700 alla corte di Napoli le fanciulle apprendevano l’arte tessile.

comunità somala di Napoli . questione somala

Abdulle Asli Ahmed , presidentessa dell’Associazione Comunità Somala in Italia

 

In un’ala di questo antico palazzo vi è una delle moschee della città, confinante con l’istituto scolastico e con la chiesa inagibile, facente parte dello stesso complesso. La moschea è gestita dall’Associazione Culturale Islamica “Zayd Ibn Thabit” che è anche un centro di assistenza per immigrati, oltre che un luogo di crescita spirituale per molti musulmani italiani, o provenienti dal vicino e dal lontano Oriente, nord e centroafricani. L’imam Agostino Gentile predica un’educazione islamica per il dialogo. Il presidente dell’associazione Massimo Cozzolino ha un passato da militante comunista prima e da francescano poi; all’indomani degli attentati di  Parigi rivolse una bella lettera al console francese, dalla quale è scaturita una fruttuosa frequentazione.

Di questo universo fa parte anche la comunità somala.

Il locale dove si riunisce la comunità è un punto di riferimento per somali e non solo. Lo hanno scelto come luogo di aggregazione anche alcuni residenti italiani del quartiere. Ci si va pure solo per una chiacchiera tra amici, un sorso di caffè aromatizzato alle spezie orientali o un piatto di riso alla somala con carne e verdure. Qui potete conoscere l’abbigliamento e i profumi tipici. Ci sono cabine telefoniche, postazioni PC e… divani. Tutti strumenti di comunicazione e integrazione! Qui, quando qualcuno ti sfugge alla vista, è perché si è ritirato in preghiera, un po’ come tanti buoni cattolici.

Qui Asli Ahmed mi ha concesso un’intervista che riporto.

comunità somala di napoli

La comunità somala di Napoli (riproduzione vietata)

Asli, come si è svolta la tua vita in Italia?

Vivo qui da 35 anni, ho sposato un italiano e vivo in un comune condominio. Le mie figlie sono nate e cresciute qua. Due di loro adesso vivono a Londra e la terza vive in Algeria dove ha la sua famiglia. Sono stata mediatrice culturale e ora presiedo la comunità somala in Italia.

Come era la vita di una bambina in Somalia?

Ho avuto una infanzia spensierata. Noi bambini giocavamo nel cortile, dove le famiglie stringevano amicizia e si riunivano. Non c’era la paura di stare in strada come succede oggi. Mio padre era un commerciante e forniva pasti per le mense scolastiche e i ristoranti. Mio fratello frequentava il liceo scientifico italiano dove insegnavano professori italiani.

Cosa ti spinse a venire in Italia?

L’italiano è la seconda lingua in Somalia e una volta non occorreva il visto per venire qui. A Napoli avevo parenti che lavoravano alla Cirio e all’Albergo Vesuvio sul lungomare.

Com’è ora la situazione politica in Somalia?

Da 27 anni c’è la guerra civile e quasi mai se ne parla. Dopo la caduta di Siad Barre avvenuta nel ’91, il paese è stato lasciato in balìa del terrorismo locale e internazionale. 500.000 persone sono venute via dalla Somalia in questi anni.

A Ottobre 500 persone sono morte a Mogadiscio per una sequenza di attentati. Nessun paese occidentale si impegna per il contrasto al terrorismo, né gli Stati Uniti, né l’Europa. Poi succede un singolo attentato in Europa e tutti pensano che noi siamo terroristi. Io cerco di spiegare che questi non sono musulmani, sono FANATICI. È un’altra cosa!!

La devastazione provocata il 14 ottobre a Mogadiscio da due camion-bomba. 500 i morti.

Le stragi degli integralisti colpiscono i musulmani come i cattolici. Ma questo agli Europei non viene spiegato abbastanza e la disinformazione fomenta il pregiudizio.  Quali sono oggi i legami tra l’Italia e la Somalia?

La Somalia è stata una colonia italiana e la cultura italiana è ancora molto conosciuta e amata. Da noi si mangia anche la pasta. E sarei felice di far conoscere meglio il mio paese agli italiani! Poi mi rattrista vedere che ormai l’Italia sta 20 anni indietro rispetto ad altri paesi europei. Quando sono arrivata non era così! Altri paesi hanno progetti di inserimento e offrono una sanità efficiente, sia per i loro cittadini sia per gli immigrati. E anche nei confronti di noi somali il clima è cambiato, alcuni italiani ci vedono come concorrenti.

Mi stai dicendo che, nei paesi meglio organizzati, si riesce a dare servizi agli stranieri, senza che questo significhi sottrarli ai cittadini nativi. C’è ostilità nei vostri confronti in Italia?

A volte. La maggior parte delle persone è serena con noi. Però oggi c’è gente che ti guarda con sospetto. Ti capita che ti dicano “vai via terrorista, torna al tuo Paese!”. Ma in quale paese devo tornare, se il mio posto è questo? Vivo qui da 35 anni in un palazzo a Fuorigrotta dove tutti mi conoscono.

Noi preferiremmo poter vivere liberi in Somalia, ma la guerra ci costringe ad andarcene dal nostro paese. Non avrebbero diritto anche i nostri giovani di vivere in pace in Somalia? Invece, dopo aver affrontato un viaggio pericoloso, se hanno la fortuna di trovare un lavoro, devono rinunciare alla loro vita. Metti le nostre giovani donne, sono bellissime, lavorano giorno e notte in famiglie che le accolgono come persone di casa. Loro ricambiano con dedizione ma secondo te le giovani non desidererebbero una famiglia tutta loro?

Spesso passano di qui anche profughi appena arrivati in Italia. Mi raccontano tante storie, di cosa gli è accaduto durante il viaggio e delle torture subite in Libia. E finisco per piangere sempre!

Come vedete allora il vostro futuro qui?

Noi vogliamo solo integrarci ed imparare la lingua. A settembre all’Isabella d’Este aprirà la scuola serale con il professionale alberghiero e il tecnico moda. È un’opportunità per noi. Nel settore design inizieranno pure i corsi biennali di specializzazione, organizzati insieme alle imprese e aperti a tutti i diplomati.

L’Italia fa tantissima accoglienza ma non cura la successiva integrazione. Metti un giovane profugo arrivato qui che vuole imparare la lingua. Anche se io organizzo un corso gratuito di italiano in lingua somala, lui riceve solo 2,50 € al giorno ma con quelli non si paga neanche il biglietto di andata e ritorno per venire al corso, da un centro di accoglienza in provincia. In altri paesi per i profughi organizzano una buona istruzione. In Italia danno 35€ a chi gestisce il centro di accoglienza, ma alcuni non sono neanche riscaldati. Con questo freddo i miei connazionali vengono a passare la giornata qui per stare al caldo.

Quindi ci sono centri di accoglienza che non organizzano i corsi di italiano!

Poi sogniamo di tornare prima o poi a rivedere la Somalia. Un giorno io ci tornerò. Inviterò anche la tua famiglia, verrete a conoscere la mia terra. Vedrete una natura proprio affascinante!

“Chissà, Asli! Sarebbe bello un appuntamento con l’Africa! I tuoi occhi si colorano di nostalgia per il tuo paese e di rimpianto per la pace che non c’è.

Un giorno ci tornerò. La vita non è stata giusta con me. Ho lasciato il mio paese 35 anni fa, da 40 anni non vedo mia sorella che vive in Australia e adesso anche le mie figlie sono lontane. La mia quarta figlia, morta molto giovane di tumore, è sepolta a Roma. Non c’è un cimitero per i somali a Napoli, così quando uno di noi muore occorrono anche cifre salate per il trasferimento della salma.

manifestazione somalia asli comunità somala di napoli

Elezioni politiche 2008. Durante una convention, la comunità somala manifesta per chiedere impegno per la Somalia. A distanza di 10 anni nulla è cambiato.

 

È un fiume in piena, Asli. Si è dovuta adattare molte volte nella vita ma si è conservata affabile e combattiva. È innamorata del suo popolo. Ogni giorno la trovate impegnata ad aiutare un connazionale a districarsi in una pratica burocratica, dall’asilo politico all’assistenza medica. E dopo aver fatto tutto quanto necessario, conclude il suo pensiero con: “Se Dio vuole, Inshallah!” Ripete in italiano e in arabo la stessa invocazione di un avvenire migliore. Così ho imparato che musulmani e cristiani di lingua araba dicono sempre “Inshallah”, quando si rivolgono al proprio Dio.

Avevo parlato diverse volte con suore cattoliche ma mai, prima di questo incontro, con donne musulmane con il velo. Asli mi ha permesso di superare velocemente l’iniziale imbarazzo attraverso un dialogo autentico e di reciproco rispetto. Ho scoperto un modo di pensare e di analizzare la realtà molto vicino al mio. Asli crede nei diritti civili e nei doveri di ogni buon cittadino. Ha fiducia nelle persone che incontra per la prima volta. È generosa ed accogliente. Ed è animata dalla tenacia di tutti gli uomini di buona volontà. Per questo nel quartiere è stimata e benvoluta.

L’ennesima conferma che ciò che unisce gli uomini non è l’appartenenza etnica, nazionale o religiosa, ma un insieme di valori universali. Un esempio positivo per un’Italia nella quale si vanno affermando l’individualismo smodato e la legge del più forte in tante relazioni.

Pur addolorati dal crescente sospetto verso gli immigrati, i somali che ho conosciuto sono sempre pronti a riconoscere che la maggior parte degli italiani sono tolleranti.

Colpisce la loro fiducia nell’essere umano! Mi ricorda la fiducia cristiana. Quella che stima ogni uomo per la ricchezza del suo animo, anche quando non è ancora sbocciata. È la fiducia di Gesù che riconosce la conversione del cuore del buon ladrone, senza che il suo passato diventi un impedimento.

Questa apertura penso mi appartenga, eppure l’incontro fortuito con la comunità somala lo devo a loro. Quel giorno infatti ero preso dalle mie preoccupazioni, mentre Asli Ahmed ebbe la tenacia di continuare a darmi da parlare.

Così è cominciata la mia storia di amicizia e integrazione. E ho l’auspicio che possa essere così per tanti.

Se Dio vuole, Inshallah!

 

Somalia . comunità somala di napoli

(c) Liba Taylor: CORBIS (riproduzione vietata)

 

Somalia . comunità somala di Napoli

 

Somalia . comunità somala di napoli

 

Somalia , comunità somala di Napoli

Paesaggi della Somalia

3 Replies to “La comunità somala di Napoli e il dolce volto dell’integrazione”

    1. grazie Roberto,
      mi sono reso conto che basta chiedere alle persone quali siano le loro storie, le loro aspettative per scoprirle molto simili a noi, anche se vengono da tanto lontano. La conoscenza è il vero antidoto al razzismo.

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