Nel giorno in cui una nave da crociera sperona un battello da turismo nel canale della Giudecca a Venezia – e il grave incidente si risolve fortunatamente senza vittime, ma comunque con il ferimento di quattro donne – cade a proposito questa ricerca del CNR del 20 maggio scorso.
“Grazie a una sorta di ecografia del fondale, sono state documentate tracce di dragaggi, solchi incisi dalle chiglie di navi fuori rotta su bassi fondali o dai motori delle barche e dalle eliche dei vaporetti alle fermate, che in condizioni di bassa marea ‘arano’ il fondale” e mettono a rischio anche dighe e moli.
La gran quantità di rifiuti marini che si accumulano sul fondale “sono per certi versi più rischiosi proprio in quanto invisibili”.
Il fondo marino è stato modificato radicalmente da attività quali la pesca, i dragaggi, la navigazione, le infrastrutture costiere e, non da ultimo, dall’abbandono di un’inimmaginabile quantità di rifiuti sul fondo.
Secondo Fabio Trincardi, direttore del Dipartimento di scienze del sistema Terra del Cnr, si tratta di “una sorta di ‘terra dei fuochi’ subacquea in cui un misto di incuria, dolo e inconsapevolezza porta molte persone a credere che quanto si getta in mare non abbia conseguenza sugli ecosistemi e sulla salute umana, solo perché questo ambiente non è immediatamente visibile e ci induce a fingere che il problema non esista.” Qui il link sul sito del CNR.
Appena qualche giorno fa, il 28 maggio, Greenpeace ha reso pubbliche le risultanze delle attività di ricerca svolte alla foce del fiume Sarno in provincia di Napoli, nell’ambito del Tour #MayDaySOSPlastica nel Mar Tirreno.
Greenpeace riferisce di una “situazione scioccante”. “Bottiglie, flaconi, bicchieri, buste, confezioni per alimenti e tanti altri contenitori e imballaggi in plastica usa e getta sommergono l’area marina in prossimità della foce del fiume Sarno in Campania.”
Spiagge e fondali sono dunque letteralmente ricoperti di rifiuti e non più visibili. Trasportati dal fiume e dalle mareggiate, si accumulano a parer mio anche per la forma della linea di costa “a gomito “.
Giuseppe Ungherese, responsabile Campagna Inquinamento di Greenpeace Italia, precisa che “quella documentata è solo la parte visibile del problema, i fiumi possono portare in mare anche grandi quantità di micro plastiche non individuabili a prima vista“.
Le situazioni della laguna di Venezia e del Golfo di Napoli ci definiscono un problema che è globale e non solo locale: ricordiamo le isole di plastica nei mari di tutto il mondo.
Il modello di produzione e consumo “usa-e-getta” da diversi decenni ormai si mostra del tutto inadeguato al benessere dell’uomo e delle altre specie viventi. Un radicale rinnovamento dei processi economici in chiave ecologica è quanto mai necessario e urgente. Accumuliamo ogni anno incredibili deficit di beni ambientali indispensabili sia ai processi economici (ad es. materie prime, territori agricoli e litorali), che alla nostra stessa vita. Un deficit ambientale il più delle volte ignorato nei dibattiti dei nostri politici e dei nostri economisti, anche di quelli considerati più illustri, come se l’esaurimento delle risorse ambientali di una regione non influenzasse le altre variabili economiche.
Occorrono svariate professionalità, onestà intellettuale e visione del futuro per realizzare la trasformazione dei processi di produzione di beni e servizi. Alla politica il compito di permettere l’incontro di tali professionalità e di favorirne il lavoro. A noi cittadini occorrono consapevolezza crescente e determinazione nel richiedere i risultati. Continuare a non vedere renderebbe ancora più difficile e costoso correre ai ripari poi. Costoso al punto che difficilmente gli Stati avranno le risorse tecniche e finanziarie per ripristinare le condizioni ambientali necessarie per la salute nostra e del pianeta e per impedire l’inesorabile peggioramento della nostra qualità di vita.
Guido Caridei, ingegnere per l’ambiente e il territorio.