L’inchiesta di fanpage.it sui rifiuti e le leggi che privatizzano

Un video agghiacciante della trattativa per lo smaltimento illegale di 10 camion di rifiuti da portare ogni giorno in provincia di Matera.

La provenienza dei rifiuti: i depuratori pubblici campani che rischiano di bloccarsi se non si allontanano i fanghi, cioè il residuo solido finale della depurazione.
Protagonisti della trattativa un pentito che si finge tornato nel “giro dei rifiuti” dopo 21 anni di reclusione e intanto registra, un imprenditore incontrato a Roma davanti al Parlamento, l’amministratore della società regionale SMA Lorenzo Di Domenico e il tesoriere regionale di “Fratelli d’Italia”, Agostino Chiatto, che è anche segretario personale di Luciano Passariello, consigliere regionale e capolista alla Camera per le elezioni di marzo.

I partecipanti concordano sul fatto che bisogna “dare una mano per la campagna elettorale di Luciano”. Poi si accordano per l’affidamento mediante un provvedimento d’emergenza che consente di andare avanti senza gara fino ad ottobre [2018] e sul prezzo che contiene anche le tangenti da versare ad “una serie di avvoltoi”, tra i quali vi sarebbero vari politici e dirigenti regionali.

‘È vero che io sono l’amministratore delegato ma sul tavolo non ci siamo solo io e voi. Dobbiamo saziarci tutti quanti. Però non dobbiamo strafare [col prezzo] perché dobbiamo stare tranquilli tutti quanti.’

inchiesta rifiuti fanpage.it   inchiesta rifiuti fanpage.it

A caldo faccio queste riflessioni.

Le aziende pubbliche nel settore ambientale sono un presidio di legalità perché riducono, senza eliminarlo, il rischio di infiltrazioni della criminalità organizzata.

Quando il settore pubblico non gestisce l’intero ciclo di trattamento, appaltandone alcuni pezzi, lascia il fianco scoperto a società corrotte, camorristiche e non, che si arricchiscono attraverso lo smaltimento illegale a costi ridotti. E trovano un alleato nel funzionario che vuole “ingraziarsi” la politica, come dice nel video, per aver “risolto il problema” del blocco dei depuratori che nuocerebbe all’immagine dell’amministrazione.

Un monito severo per i politici che a livello nazionale considerano prioritarie le liberalizzazioni, ignorano l’esito del referendum in materia di servizi pubblici e ignorano, o fingono di ignorare, i dati reali dei tassi di infiltrazione malavitosa nelle aziende private del settore; dati questi già in possesso delle prefetture che adottano le interdittive antimafia. Una vicenda che – aldilà dell’esito finale delle indagini giudiziarie in corso – è esempio di come la politica da decenni gestisca con procedure di emergenza vari settori (dai rifiuti, alle grandi opere, ai grandi eventi, al fenomeno dell’immigrazione), al fine di servire senza lacci interessi indicibili.

Dopo la vittoria del referendum sull’acqua pubblica del 2011, la gestione delle risorse idriche in Italia non è stata ripubblicizzata quasi da nessuna parte. Sono state emanate infatti nuove norme che rendono possibili incarichi a società private o miste, e limitano la possibilità della gestione “in-house”, cioè effettuata direttamente dagli enti locali o da aziende di loro proprietà.

Il referendum fu chiamato “per l’acqua pubblica” ma riguardava in realtà tutti i “servizi pubblici locali di rilevanza economica”, inclusa la gestione dei rifiuti. Ci colpisce negativamente la gestione privata dell’acqua, perché riguarda un elemento indispensabile per la vita umana e perché – a fronte di tariffe molto più alte di un tempo – le reti sono rimaste colabrodo.

Per converso, la gestione dei rifiuti affidata a privati apre il campo da un lato a società multinazionali – che perseguono l’interesse privato e legittimamente si accaparrano la gestione degli impianti PIÙ remunerativi incentivati dallo Stato (ad esempio inceneritori e impianti a biomasse) – dall’altro a tante aziende piccole che finiscono per aggiudicarsi le attività di smaltimento POCO remunerative, se non per chi ricorre allo smaltimento illegale; queste aziende presentano elevati tassi di infiltrazioni malavitose, monitorati dalle Prefetture. Ai Comuni che non gestiscono impianti, infine, restano le spese da sostenere per il funzionamento della raccolta differenziata spinta e della pulizia delle strade, che le norme impongono di finanziare integralmente attraverso la tassa o la tariffa imposte ai cittadini. I politici nazionali che continuano a preferire la gestione privatistica sembrano ignorare questi dati e non appaiono adatti al ruolo del legislatore.

La riforma attuale prevede la formazione di pochi enti d’ambito in ogni regione che sostituiscono i comuni negli affidamenti. La minore frammentazione sul territorio favorisce così il monitoraggio del settore ma è anche vero che si allunga la catena di comando: cittadino elettore – comune – ente d’ambito – società pubblica o privata che gestisce il servizio – società pubblica o privata che eroga il servizio.

Nel caso dell’inchiesta, ci troviamo in realtà di fronte ad una azienda “in-house”, la SMA-Campania che gestisce i depuratori ma non lo smaltimento dei relativi fanghi e proprio in questo segmento del ciclo si sarebbe cercato lo smaltimento illegale.

sma campania sito

www.smacampania.info

 

Va detto che, nella gestione della raccolta differenziata, la normativa ha istituito consorzi obbligatori che pianificano l’impiantistica per il recupero dei rifiuti separati dai cittadini. Sono consorzi formati da privati (i produttori dei beni) ma regolati per legge e tenuti ad elevate percentuali di recupero dei rifiuti dei beni da loro stessi immessi al consumo. Pertanto danno migliori garanzie di tracciamento e corretta gestione della filiera impiantistica. Gli accordi economici sono nazionali e non c’è proliferazione di singoli appalti comunali. Il Consorzio più noto è il CONAI, il Consorzio Nazionale Imballaggi  che recupera carta, vetro, plastiche, alluminio, acciaio e legno. Invece il Centro di Coordinamento RAEE sovrintende al recupero degli elettrodomestici e di tutte le apparecchiature elettriche ed elettroniche che portiamo alle isole ecologiche comunali oppure ai rivenditori dei nuovi apparecchi.

Sarebbero pertanto auspicabili  gestioni controllate di tutte le tipologie di rifiuti, urbani e non, al fine di garantire l’interesse generale della tutela dell’ambiente.

Molti enti pubblici e privati si trovano in imbarazzo quando devono predisporre affidamenti di servizi di smaltimento, per il rischio di venire in contatto con società apparentemente pulite che ricevono magari un’interdittiva dalla prefettura ad appalto ormai in corso. Questi enti sarebbero ben sollevati se esistesse una filiera obbligatoria dello smaltimento alla quale appoggiarsi, perché per alcune tipologie di rifiuti – come nello stesso caso dei fanghi del video – non è sempre semplice trovare soggetti interessati allo smaltimento. E per i cittadini ci sarebbe qualche certezza in più sulla rigorosità dello smaltimento.

Un’ultima riflessione. 

A luglio diverrà operativo il decreto legislativo n.216, adottato dal Governo Gentiloni il 29 dicembre 2017, in attuazione della cosiddetta riforma Orlando della giustizia. Il decreto introduce il delitto di diffusione di riprese e registrazioni di comunicazioni fraudolente. Inoltre, con lo scopo di tutelare la privacy, limita l’utilizzo delle intercettazioni da parte degli inquirenti, nonché la loro pubblicazione da parte degli organi di stampa. Auguriamoci che siano infondati i timori di “nocumento molto serio alle indagini“, palesati dall’Associazione Nazionale Magistrati. [1]

Guido Caridei , ingegnere per l’ambiente e il territorio

Guarda qui il video di fanpage.it 


[1] Cfr. la disamina della riforma delle intercettazioni pubblicata sulla testata specializzata “Altalex”
      Cfr. l’articolo “Intercettazioni, tra 6 mesi scatta il bavaglio. Protestano sia gli avvocati che l’Anm. La polizia deciderà cosa è rilevante” pubblicato il 29 dic 17 su “Il Fatto Quotidiano”

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