Caro Daniele,
oggi gli italiani onesti sentono il bisogno di ringraziare te ed Edoardo Anselmi. Perché avete documentato le attività illegali, l’estorsione e il riciclaggio, che si sono diffuse ad Ostia con metodi mafiosi e intimidatori. E, senza la conoscenza del fenomeno, la politica non potrebbe neppure adottare gli strumenti di contrasto.
Voi sapete porre agli intervistati le domande che ne fanno emergere il pensiero. Ma martedì scorso ciò è costato a voi due, rispettivamente, un naso spaccato e un trauma cranico.
Ti ringrazio perché, nonostante questa esperienza, hai dichiarato “non subito, ma ci tornerei, perché credo che sia una città che abbia bisogno di essere raccontata”.
Così anche a te è stata rivolta un’intervista e stavolta è emerso il pensiero tuo riguardo alla diffusione geografica dei fatti criminali. E su questa cosa non posso fare a meno di confrontarmi con te.
Hai dichiarato infatti:
Non è la prima volta che racconto storie di mafia. Sono andato in Calabria, sono andato in Sicilia. Siamo andati a Napoli, spesso. Però lì sai a che cosa vai incontro. Ecco trovare quel tipo di atteggiamento lì, quella violenza lì, ad Ostia, fa impressione. Da romano lo dico.
Se fino a ieri, Daniele, pensavi che la criminalità organizzata fosse un fenomeno regionale, devi stare in guardia nel tuo lavoro perché le mafie sono componenti dell’economia di ogni paese: c’è la mafia russa, quella cinese, quella tedesca e quella raccontata dal Manzoni… sul lago di Como.
Le superpotenze economiche devono la propria posizione alla minaccia degli armamenti nucleari e alla necessità degli altri Stati di affiliarsi per ragioni di difesa nazionale.
L’aggressività è una componente della natura umana. E ovunque nel mondo troverai qualcuno disposto a cedere alla violenza, che dell’aggressività è la degenerazione.
Tuttavia in Italia certa stampa scellerata, anche strizzando l’occhio al partito regionale del nord che è stato a lungo al governo, sta consolidando l’antico pregiudizio sul fattore geografico ed antropologico della mafia. Alcuni italiani credono che la mafia sia un dato identitario dell’intera popolazione delle regioni in cui è presente. Questi italiani hanno poi difficoltà a riconoscere che la mafia sia diffusa anche dalle loro parti. Perché – proprio in virtù della loro convinzione – dovrebbero concludere di essere loro stessi mafiosi. Questa empasse in cui si trovano in ogni caso è positiva e forse li aiuterà a rendersi conto che la maggior parte dei cittadini meridionali sono loro stessi vittime e non attori di mafia.
Questa empasse devi averla vissuta anche tu, se hai sentito l’affetto verso la tua città e la necessità di confinare la narrazione del fenomeno mafioso a Roma, paragonandolo ad una (singola?) macchia su un bel vestito:
È un vero peccato vedere l’imbarbarimento della città dopo che la macchia della mafia l’ha contaminata, un luogo così bello!
Dunque ti faccio una richiesta, Daniele.
Se come me ami Roma, Napoli e tutto il nostro Paese, devi continuare le tue inchieste. È tuo compito far capire che la diffusione della criminalità è anzitutto una questione di politica.
Sul lago di Como sono scomparsi i “bravi” e, almeno apparentemente, anche l’omertà che faceva chiamare “Innominato” un bandito locale incaricato di rapimenti, “lavori sporchi” e omicidi. Se invece Napoli, la mia città, continua ad essere afflitta dalla camorra, è anche perché gli utili delle attività criminali vengono distribuiti ampiamente nel circuito economico apparentemente legale di altre regioni.
Al contrario nel nostro Sud la criminalità ostacola la libera creazione di imprese sane che le farebbero concorrenza. Le opportunità e il livello di benessere di chi nasce nel bel Mezzogiorno d’Italia risultano profondamente condizionate da questa situazione.
Nelle società ricche, il lavoro e un tetto sulla testa ci sono. Eppure non manca chi sia propenso ad affermare ulteriormente la sua posizione con brutalità. La violenza lì ha subìto una mutazione nelle forme della speculazione finanziaria, delle lottizzazioni tra multinazionali e imprese di camorra, dei paradisi fiscali. La ritrovi nel mobbing e nell’omertà dei luoghi di lavoro, così come nel “calcioscommesse” dei giocatori illustri.
Questo accade mentre la stampa deviata addita all’opinione pubblica i poveri ladri di polli.
Daniele, ti chiedo di documentare quanto il capitale umano e culturale delle genti meridionali sia ricco. Opera nelle coscienze individuali e nel formidabile lavoro delle associazioni. Semmai nelle aree a rischio il lavoro ordinario di tanti è meno visibile della criminalità che non viene davvero contrastata. Anzi la politica nazionale spesso fa addirittura sistema con essa.
A chi fa risalire i guai del sud soprattutto ai meridionali stessi e ai loro governanti,
fai presente che la classe politica del centro-nord non è migliore. Altrimenti non si spiega come il nostro paese sia più povero e sfiduciato, dopo 25 anni in cui ha avuto tanti premier nati sopra il Tevere, quali Berlusconi, Monti e Renzi.
Gli ultimi politici che gli italiani ricordano con nostalgia sono Moro e Berlinguer, un pugliese e un sardo. Mentre il dittatore che ci trascinò in guerra e avallò il nazismo era un emiliano, il quale indusse all’esilio, tra i tanti, un cattolico siciliano impegnato e molto amato, il fondatore del Partito Popolare Italiano, Don Luigi Sturzo.
Ed emiliano è pure quell’ex ministro dei lavori pubblici secondo il quale “con mafia e camorra bisogna convivere e i problemi di criminalità ognuno li risolva come vuole”
Secondo molti storici, poi, la criminalità organizzata nel sud fece il suo salto di qualità proprio con lo stato unitario, quando i governi sabaudi avevano bisogno di controllare un territorio a loro sconosciuto. Per farti capire, oggi lo chiameremmo “spoil system”, quel meccanismo per il quale chi prende il potere ha bisogno di crearsi una schiera di serventi. E in genere non li sceglie guardando alla dirittura morale ma alla loro ambizione di un ruolo influente.
Ma i virus sono molto veloci a replicarsi.
E, se li accogli in seno, da un singolo organo si impadroniscono dell’organismo intero, fino ad ucciderlo. Questo sta accadendo al nostro paese nel suo complesso, secondo me.
Gli italiani non hanno bisogno dei venditori di odio o pregiudizi verso immigrati, napoletani e romani (ne ho parlato proprio qualche giorno fa sul mio blog).[1] Piuttosto che invocare muri tra gli stati e nuovi confini interni dobbiamo invece unirci per stimolare politiche di tutt’altro respiro.
E c’è bisogno, caro Daniele, di persone che usino la loro professionalità e il loro coraggio per raccontare gli estesi legami politici ed economici della criminalità organizzata. Altrimenti questa non regredirà e il disagio del Sud diventerà paradigma dell’Italia intera.
In gamba, Daniele!
Guido Caridei
[1] Articoli correlati sul blog : “Un tifoso olandese e uno napoletano in viaggio oltre i pregiudizi“, 29 ott 2017; “Criminalità, anzitutto un problema di politica” , 7 gen 2017