Domenica 8 aprile 2018.
Nel finale di partita il Napoli ribalta il risultato e vince con le reti di Milik e Diawara. Con una prodezza Diawara sigla il suo primo gol in serie A e tiene il Napoli in corsa per lo scudetto.
All’88° minuto di gioco, il Napoli è sotto di un gol con il Chievo. Ha sì prevalso in partita fino a quel momento con il possesso palla, ma senza efficacia dell’azione offensiva. Il Chievo invece ha giocato al meglio, con la difesa ben organizzata e sfruttando una delle poche palle gol create.
I fuoriclasse del Napoli appaiono opachi. Stanchi di tenere il passo di una Juventus che non perde colpi, è forte e gode di un’ampia possibilità di cambi nella rosa, mentre qualche episodio favorevole l’aiuta anche quando non ha le sue migliori prestazioni.
Mancano pochi minuti al triplice fischio. Proprio quando sembra inevitabile la sconfitta che chiude le ambizioni della stagione, arrivano i due lampi ravvicinati. Con la vittoria il Napoli ottiene i punti in classifica necessari per contendere lo scudetto. E soprattutto mostra il carattere per farlo, l’orgoglio e il genio dei due vicetitolari.
Ed è tripudio!
Mentre i tifosi sono intenti ad abbracciarsi e ad esultare, va in onda una seconda scena altrettanto emozionante per chi è allo stadio o alla TV.
Prima il tiro a giro magnifico, degno delle traiettorie di Insigne, ha insaccato la palla alle spalle dell’incolpevole portiere. Poi la felicità di Diawara esplode, splendida. Disegna sul campo una corsa a braccia aperte a cui si uniscono i compagni. Fa un paio di capriole e infine si getta in ginocchio alzando le braccia a Dio.
Una sequenza di fotogrammi che scorre davanti agli occhi dei tifosi euforici. E comunica inaspettatamente altri significati. Amadou è raggiante, esulta con noi per il risultato della stessa squadra. Si capisce che la sua preghiera di ringraziamento da musulmano ha i tratti comuni di quella di un qualunque altro credente o del senso di appagamento di un non credente. Sono la forza iconica delle immagini a rivelarlo, l’autenticità delle emozioni e l’immediatezza di ciò che è accaduto nel giro di pochi minuti.
Il calcio unisce e mostra le somiglianze.
Un tiro a giro è un tiro a giro, che l’autore sia il guineano Diawara o il campione nostrano Insigne. Si possono parlare lingue diverse ma per un gol si esulta tutti nello stesso modo. Nel giubilo il linguaggio corporeo non cambia con il colore della pelle.
Ultimamente i media ci hanno abituato a guardare con sospetto agli immigrati, specie se musulmani. Se incontriamo uno straniero per strada, ci domandiamo se comprenda la nostra lingua. E siamo indotti a scrutare le differenze e a temerle. A volte basterebbe invece conoscersi e raccontarsi le proprie storie!
Per fortuna il linguaggio del calcio è diretto, supera le nostre resistenze e fa collassare il castello del pregiudizio costruito giorno dopo giorno da certe sirene maligne.
Alcuni sventurati predicano che “ognuno dovrebbe restare a casa sua”, dimenticando che i primi ad andare in Africa fummo noi occidentali e per giunta portammo via le persone.
La Guinea, da cui viene Diawara, fu spopolata nell’800 dalla “tratta degli schiavi”. Dopo l’indipendenza dalla Francia, ottenuta nel ’56, la popolazione è rimasta povera mentre le ricchezze del sottosuolo alimentano il benessere della società occidentale e di pochi gruppi locali. Ancora oggi in Guinea si vanno a scegliere i minerali e a selezionare le giovani promesse del calcio.
La Francia, che non ha disdegnato di vincere un mondiale e un europeo grazie all’attaccante oriundo Zidane, è la stessa che ha respinto gli immigrati sulla frontiera alpina senza prestare soccorso a chi poi è morto di freddo.
“Ognuno a casa sua” dicono. Ma dimenticano che ancora oggi non diamo il buon esempio, visto che le nostre compagnie petrolifere non hanno intenzione di andarsene per esempio dalla Nigeria, dove prelevano il greggio con modalità che producono gravissimi danni ambientali e sanitari. Migliaia sono i civili morti per i conflitti scoppiati per il petrolio.
In Nigeria per questa situazione sono compromesse il 40% delle coltivazioni di cacao e il 60% di quelle di cotone. A chi viveva di agricoltura lì, si aprono le porte della ricerca di lavoro in Europa. E c’è quasi da sperarlo, perché l’alternativa è il trasferimento nelle nuove periferie nigeriane dove il sostentamento è fornito spesso dai circuiti criminali. Secondo l’Anticorruzione Nigeriana, inoltre, l’ENI avrebbe recentemente pagato mazzette per ottenere ulteriori diritti di estrazione. [1]
Ciò che ci servirebbe davvero è un’analisi onesta dei bisogni dei popoli, in Europa e nel mondo, e conseguenti politiche eque di sviluppo. Gli ecosistemi sono una cassaforte; il consumo intensivo di minerali e petrolio arricchisce temporaneamente pochi ma distrugge la ricchezza del futuro di tutti.
Amadou Diawara non racconta spesso le sue storie d’Africa.
Ma ci dicono molto, di lui e della sua cultura, la sua empatia e l’intuizione calcistica. Gioca le tante posizioni di un mediano. Ha l’abitudine di raccogliersi discretamente in preghiera ad inizio partita.
Figlio di insegnanti, ha coltivato la passione per il calcio di nascosto, osservando le partite in TV ed allenandosi da sé in un campetto di terra. Lo rivelò una volta in un’intervista al Corriere di Bologna.
Grazie a Dio il calcio ci unisce dunque. Le sue regole internazionali permettono, ovunque nel mondo, ad adulti e ragazzi,di giocare insieme senza parlare una lingua comune.
A Napoli è il pomeriggio di Domenica 8 aprile.
Ci sono 24 gradi. Un sole alto inonda la città. Alla fine è stata festa grande. Le strade sono solitarie nella controra del giorno festivo. Nelle case le famiglie, riunitesi per il pranzo poche ore prima, seguono i commenti del fine partita. Allo stadio sono in 50.000. Altre famiglie sono in agriturismo, dove i bimbi giocano tra i meli in fiore, sotto lo sguardo dei papà che tendono l’orecchio alla radio.
In centro le facciate di tufo giallo dei monumenti sono baciate dal sole. Il cielo è chiaro. Il mare riverbera questa luce intensa. Aldilà del mare, oltre il Golfo, il continente africano è oggi un po’ meno distante e più simile a noi.
Guido Caridei