Quando i profughi approdarono sull’isolotto di Megaride, dove oggi sorge Castel dell’Ovo, e per primi fondarono un insediamento greco nella baia di Napoli, chissà quale scenario si presentò ai loro occhi! Quale stato d’animo poté suggerire loro quella quinta di colline che a oriente si congiunge con la figura austera del Vesuvio e a occidente termina nella forma di Capo Posillipo !
Chissà se anch’essi videro in quel promontorio al tramonto – come ha fatto un compositore napoletano d’inizio secolo – l’atteggiamento di un bimbo disteso, sfinito dalla sua vivacità diurna, che cede al sonno!
Questi luoghi, evocati con la fantasia come dovevano presentarsi ai nostri antenati, naturali e quieti per mancanza d’umana dimora, cantano la tenerezza dei primordi della civiltà.
Amo trattenermi da posizione opposta rispetto a Megaride, cioè da una delle alture un tempo vestite di vegetazione, e riempirmi della vista del Golfo. Di qui si domina la città, disposta come un teatro sul mare quasi a trattenerne l’essenza. E si leggono i segni delle civiltà che in questa arena si sono mosse.
Ecco le colline della città fare ritratto con i monumenti! Cento guglie sbocciano tra i tetti mentre tu individui le strade e riconosci i palazzi. Il profilo del golfo al di là del mare distingue il confine con il cielo. Lo stupore di una prospettiva inattesa di un panorama familiare. E la serenità del tutto. Poi intuisci appena, con un senso di vertigine, le vicende storiche e le storie personali che qui hanno trovato rappresentazione.
I coloni cumani non potevano conoscere le culture che si sarebbero avvicendate in quella terra nuova nei secoli a venire. Non si chiedevano quale idea avrebbero suscitato la città di Napoli e l’essere napoletano duemilacinquecento anni più tardi. Non avrebbero sospettato che di quei luoghi, non ancora legati indissolubilmente all’esistenza di milioni di persone, si sarebbero considerati padroni un manipolo di uomini dediti all’illecito, alla sopraffazione, tanto da ricorrere non di rado all’omicidio.
Noi, napoletani d’oggi, abbiamo conquistato una consapevolezza: di una storia plurimillenaria costoro hanno occupato una piccola frazione. Padroni non ne sono, ma costituiscono piuttosto un evento umano, destinato a tacere e poi a finire, come ogni evento umano, specie come quelli senza onore e senza memoria. GMC ’98
Il paesaggio e la storia di Partenope .
Il fascino di un incantevole intreccio tra la natura creata e la civiltà umana. Una città fondata da genti greche in cerca di nuove opportunità, di terre fertili e nuovi empori commerciali, in fuga dai contrasti sociali della madrepatria e dalle guerre tra poleis . Poi diventata la città delle cinquecento chiese nel centro storico tutelato dall’UNESCO .
L’amarezza per la presenza di una criminalità che lo Stato ancora non ha stanato dai suoi noti fortini, come sono state stanate invece le cellule dell’Isis responsabili degli attentati a Parigi del 2015, o come è stato combattuto il terrorismo negli anni di piombo. E il rammarico per l’edificazione incontrollata del dopoguerra, quella descritta nel famoso film di Francesco Rosi: ” Le Mani sulla Città “.
Questi i moti dell’animo da cui nacquero queste riflessioni. Era il ’98. Avevo 24 anni e stavo per conseguire la laurea in ingegneria per l’ambiente. Mentre un’altra catastrofe ambientale, più drammatica della speculazione edilizia, conosciuta ancora da pochi e perciò indisturbata, stava minando l’equilibrio naturale della mia Terra.
Guido Caridei