La crudeltà dei lager libici: testimonianza di un sopravvissuto
“In Libia non c’è uomo, non c’è donna, non c’è bambino. Subivamo tutti (anche i bambini) violenze sessuali quotidiane”.
Nella cella vi erano più di 60 persone, costrette a convivere con morti in decomposizione, con i loro escrementi e con il sangue delle violenze, degli omicidi e del ciclo mestruale e dei parti delle donne.
“Appena venivano uccisi i nostri compagni di cella, soprattutto i più giovani, tante volte subito arrivavano 3 o 4 medici che toglievano parti dei loro corpi (occhi, cuore, reni ecc) davanti a noi che guardavamo senza proferire parola. Riponevano subito tutto in un contenitore che assomigliava ad un piccolo frigorifero e poi se ne andavano lasciando lì per giorni con noi i cadaveri a decomporsi; anche in questo caso eravamo noi a spostare i corpi martoriati in un angolo della cella.
“Spesso davano fuoco ai piedi di donne e bambini, lasciandoli morire bruciati davanti ai nostri occhi.”
“Nella nostra cella, diverse volte a settimana venivano introdotti 3 o 4 cani, non grandissimi ma molto aggressivi. Io rimanevo immobile e quasi non respiravo, di solito si avventavano sui bambini, provocando loro ferite molto gravi o uccidendoli”.
“Credo di essere vivo perché sono sempre stato zitto e buono, anche se avevo dolori fortissimi non mi sono mai lamentato; ero terrorizzato”